La Val di Non, da sempre naturale via di comunicazione fra pianura padana, territori transalpini e centroeuropei, conserva eccezionali testimonianze del suo più antico popolamento, assumendo un ruolo di primo piano nella storia dell’archeologia, non solo trentina. I numerosi ritrovamenti e le ricerche condotte in diverse località, da Mechel ai Campi Neri di Cles, dal Monte Ozol a Vervò e soprattutto a Sanzeno, attestano una lunga frequentazione del territorio e, spesso, una continuità insediativa, secondo una caratteristica tipica dell’ambiente montano. Per questo l’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento da anni ha intrapreso un importante percorso di tutela e di valorizzazione del patrimonio locale. Tale impegno ha portato alla realizzazione del Museo Retico di Sanzeno, dove sono esposti reperti provenienti da tutta la valle, dalla preistoria all’altomedioevo, ma anche alla conservazione di due aree archeologiche visitabili a Cles, in località Campi Neri, e di quella indagata a San Martino di Vervò, di prossima apertura al pubblico.
Quello di San Martino di Vervò è un sito noto agli archeologi soprattutto per il ritrovamento di diverse iscrizioni sacre di epoca romana, avvenuto tra XVIII e XIX secolo. Tra tutte queste iscrizioni merita particolare attenzione quella con dedica a tutti gli dei pro salute castellanorum Vervassium, e cioè per la salvezza degli abitanti di un castellum posto nei pressi dell’odierna Vervò, dove il termine castellum, che generalmente definisce un insediamento di tipo militare, nel nostro caso indicherebbe, più semplicemente e con maggiore probabilità, un “abitato su altura”. Gli scavi condotti nel 1890-91 dallo studioso di Cles Luigi de Campi, nonché i rinvenimenti effettuati dal maestro Francesco Gottardi negli anni ‘30 e ‘40 del Novecento, hanno qui documentato tracce di presenza umana dalla preistoria all’epoca altomedievale. Le indagini svolte dall’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, avviate nel 2008 grazie ad uno stanziamento economico triennale assegnato nell’ambito del Patto territoriale della Predaia, hanno senz’altro confermato la notevole importanza del luogo, mettendo in luce testimonianze riconducibili a distinte fasi cronologiche di frequentazione, dalla fine dell’età del Bronzo (XII-XI sec. a.C.) al Basso medioevo (XIII-XV sec. d.C.). Gli interventi eseguiti hanno evidenziato una realtà insediativa molto articolata e complessa, caratterizzata dalla presenza di resti strutturali riferibili sia a situazioni di abitato sia di necropoli. Molto significative sono le testimonianze inquadrabili nell’ambito della cultura retica o di Fritzens-Sanzeno della seconda età del Ferro (V-IV sec. a.C.) e in epoca altomedievale. In particolare è stato individuato un nucleo funerario altomedievale (VI-VII sec. d.C.), organizzato per gruppi familiari, riferibile ad una comunità rurale autoctona. Questo nucleo cimiteriale, la cui reale estensione non è più definibile, comprendeva nove sepolture ad inumazione, alcune delle quali accompagnate da pregevoli oggetti d’ornamento facenti parte dei corredi personali. Tali oggetti, spille, orecchini, anelli, si trovano esposti presso il Museo Retico di Sanzeno. Di grande interesse è anche un ampio edificio parzialmente seminterrato, risalente all’epoca romana (probabile II-IV sec. d.C.) e rifrequentato, dopo il suo abbandono, in epoca successiva (tardo-antica/altomedievale), con una riduzione degli ambienti interni e l’impostazione di focolari con presenza di frutti carbonizzati, soprattutto pere, che suggeriscono la pratica di particolari attività produttive. A fianco di tale struttura sono stati messi in luce altri due edifici, di più piccole dimensioni e dotati, come il precedente, di una soglia d’ingresso in pietra. Per quanto riguarda la seconda età del Ferro nell’area si sviluppa un villaggio riferibile alla cultura Fritzens-Sanzeno o retica il cui arco di vita, compreso tra la metà del V e il IV sec. a.C., venne interrotto a causa di un violento incendio che ne causò l’abbandono. Gli edifici individuati rispecchiano la tipologia edilizia della casa di ambito alpino centro-orientale, definita per convenzione “retica”, le cui caratteristiche ricorrenti consistono in una forma quadrangolare con piani interni seminterrati, perimetro di base in muratura a secco o scavato nella roccia, pareti in legno, tetti a falda unica o a doppio spiovente in paglia o tavolette di legno. Tra tutti si distingue un ambiente che sembra aver avuto un’importanza speciale, forse destinato ad una frequentazione collegata a delle cerimonie comunitarie, come indicherebbero anche i reperti recuperati, tra cui due raffinate brocche-attingitoio in lamina di bronzo, di V-IV sec. a.C., collegabili al rituale del banchetto.
La prevista valorizzazione del sito, che comporterà un importante intervento di consolidamento e restauro dei resti murari, avrà l’obiettivo di incentivarne il più possibile una corretta fruizione, all’interno di un itinerario di visita da pensare in logico collegamento con il Museo Retico di Sanzeno ma anche con lo splendido Castel Thun e i percorsi naturalistici recentemente ripristinati nell’ambito del territorio della Predaia.
Testi in collaborazione:
dott. archeologa Lorenza Endrizzi, dott. stotria dell’arte Salvatore Ferrari, dott. geologo Christian Hentschel, dott. forestale Claudio Maurina, dott. forestale Daniele Lubello, dott. forestale Paolo Pozzatti, dott. forestale Paolo Zorer